Fino a pochi anni fa, l’unica forma di intolleranza al glutine riconosciuta dalla medicina era la CELIACHIA, una patologia autoimmune di origine genetica diagnosticata tramite esami del sangue specifici, che provoca un’intolleranza permanente al glutine.
Negli ultimi dieci anni, tuttavia, gli esperti hanno cominciato a osservare un altro tipo di intolleranza al glutine, che non può essere definita celiachia ma che condivide alcuni tratti con essa: si tratta della SENSIBILITÀ NON CELIACA AL GLUTINE (NCGS).
Purtroppo, al momento, non esistono biomarcatori specifici per diagnosticare questa condizione. In altre parole, la sensibilità al glutine c’è, ma non si conoscono ancora le cause precise. Tuttavia, la ricerca sembra avanzare nella giusta direzione, esplorando la possibile correlazione tra l’evoluzione del consumo di grano e i suoi effetti sull’organismo.
Il grano che consumiamo oggi è diverso dal grano antico? E quale ruolo gioca il glutine in tutto ciò? Cerchiamo di fare chiarezza.
La sensibilità al glutine non celiaca è una sindrome che si manifesta con sintomi intestinali (gonfiore, meteorismo e alterazioni dell’alvo) e sintomi extraintestinali (come ansia, depressione e allucinazioni) che si verificano dopo l’assunzione di alimenti contenenti glutine. Tutto ciò accade in soggetti che non soffrono di celiachia o di allergia al grano.
La diagnosi di NCGS è complessa e richiede diversi passaggi nutrizionali da affrontare insieme a un professionista. Solo dopo aver confermato la diagnosi, si può avviare un trattamento mirato, che deve essere personalizzato in base ai sintomi del paziente. L’esclusione del glutine dalla dieta, pur portando a un miglioramento in molti casi, non è considerata una soluzione definitiva, in parte per la mancanza di linee guida chiare e in parte per i potenziali rischi di carenze nutrizionali e di alterazioni nel microbiota intestinale, che potrebbero ridurre i batteri benefici come Faecalibacterium prausnitzii e Bifidobacterium longum.
Ma qual è la causa alla base di questa sensibilità?
Il problema non è tanto il glutine in sé, quanto la gliadina, una delle proteine contenute nel glutine. Negli anni ’70, alcuni genetisti italiani iniziarono a trattare il grano con raggi gamma per ottenere piante più resistenti e con una maggiore resa. Da questo processo nacque una varietà di grano chiamata CRESO, che contiene una quantità di gliadina superiore rispetto alle varietà tradizionali. L’uso crescente di questo grano, unito al consumo più frequente di prodotti a base di farine, ha ridotto la tolleranza dell’organismo umano alla gliadina, creando difficoltà nella sua digestione e frazionamento.
Recentemente, è emerso che altre molecole, come i FODMAPs, potrebbero contribuire all’insorgenza della NCGS.